giovedì 17 giugno 2010

Un "consiglio" spassionato

Da il "Fatto Quotidiano" del 16 giugno 2010


Un consiglio spassionato
di Nicola Saracino

Si avvicina la data del voto per l’elezione del nuovo Csm. In passato l’esercizio al quale erano chiamate le quattro correnti che "dilaniano" l’Associazione Nazionale Magistrati rivestiva un carattere quasi militare, nel senso che essendo i candidati in numero esattamente corrispondente a quello degli eleggibili, si doveva solo amministrare territorialmente il voto non tanto per contenderselo, ma solo per assicurare la riuscita del "piano di riparto" predeterminato a tavolino. In fondo le correnti non avevano competitors ad esse esterni e il sistema si basava sulla pesatura preventiva delle rispettive forze con l’effetto di strozzare ogni velleità dell’elettorato di premiare l’una e di punire l’altra.

Questa volta, però, c’è la novità costituita da alcune candidature (sei, per la precisione) "extravaganti", non stabilite cioè dalle correnti ma nate indipendentemente e, talvolta, persino in aperto contrasto alle scelte degli apparati. Si tratta di Salvatore Cantaro e di Carlo Fucci per il collegio del pubblici ministeri e di Milena Balsamo, Fernanda Cervetti, Edoardo Cilenti e Paolo Corder per il collegio dei giudici.

Nessuna candidatura "spontanea" è stata partorita per il collegio di legittimità, nel quale due sono gli eleggibili. E non può essere il caso ad aver suggerito alle correnti che storicamente prevalgono in questo ambito (Unità per la Costituzione e Magistratura democratica unita ai Movimenti Riuniti) di proporre due magistrati che hanno avuto un ruolo di primo piano nell’affaire Salerno-Catanzaro. Si tratta di Aniello Nappi, estensore della discussa sentenza delle Sezioni Unite che aveva posto il sigillo sulla deportazione della "gang" del deposto procuratore di Salerno Luigi Apicella; e di Riccardo Fuzio che di quella stessa vicenda si era occupato in precedenza, nella fase dell’indagine "sommaria", eufemismo evocante una sinistra sorveglianza sull’operato degli uffici giudiziari di tutta Italia, prima ancora che siano formulabili addebiti specifici. Tenuto conto che all’eletto nel collegio della legittimità compete di diritto compito di giudice disciplinare, l’opzione delle correnti appare di stampo auto-conservativo, tendente a scongiurare ogni possibilità di diversa lettura di una vicenda che ha scavato un solco profondo tra gli apparati di potere e i magistrati.

Resta, di buono, la possibilità offerta per la prima volta ai magistrati italiani di spedire a Piazza Indipendenza, dove si trova il Consiglio Superiore della magistratura, degli inquilini realmente in assonanza con quel luogo.


A dispetto del fatto che l’edificio che ospita il Csm è sempre stato il... Palazzo dei Marescialli .


sabato 12 giugno 2010

La "Stanza"

Questa campagna elettorale è nuova, diversa. Forse il merito è della presenza dei candidati indipendenti come me, che hanno alterato gli schemi precostituiti della raccolta di voti a pacchetti o porta a porta.

Forse è lo sviluppo delle tecnologie, della globalizzazione, ma una delle esperienze più belle che sto vivendo in questi giorni sono i contatti con i colleghi.

Certo, rispetto ai candidati " di corrente" non ho alle mie spalle le strutture che consentono di girare tutti gli uffici in maniera capillare.

Ma sto scoprendo nuovi modi per comunicare e relazionarmi con i colleghi che, devo dire, mi stanno arricchendo umanamente.

Tramite la posta elettronica, tramite internet, sto entrando in contatto con moltissimi colleghi coi quali dialogare del sistema di autogoverno e di specifici problemi, sto instaurando con loro rapporti diretti e stimolanti.

Molto di questo lo devo a Pierpaolo Belluzzi che ha "inventato" la stanza virtuale, ormai un appuntamento cui molti colleghi sono affezionati, che sempre più colleghi frequentano e nella quale noi candidati possiamo dialogare via webcam con tutti colleghi che lo vogliono.

Possiamo esporre le nostre idee, possiamo affrontare il contraddittorio con gli altri contendenti possiamo dialogare privatamente o in pubblico con i partecipanti, facendoci conoscere e conoscendo i colleghi.

Meglio di un'assemblea, se penso che lì non tutti hanno magari la possibilità di interloquire con i partecipanti; decisamente meglio di un'assemblea, se penso ai numeri (piuttosto ridotti) delle assemblee di corrente, persone che nemmeno devono essere convinte, perchè sono proprio quelle che di certo voteranno i candidati della corrente.

Linko le registrazioni alle precedenti puntate della stanza; guardatele e partecipate alle prossime puntate. Partecipando, potrete farvi un'idea su noi candidati, ma, soprattutto ci arricchirete consentendoci di conoscervi tutti.

Queste le puntate:

31 maggio

http://tribunalecr.aemcom.net/p28187043/

3 giugno:

http://tribunalecr.aemcom.net/p90894314/

7 giugno

http://tribunalecr.aemcom.net/p45638788/

venerdì 21 maggio 2010

La mappa: il mio programma




Versione stampabile





Il ruolo dell'organo di autogoverno

Il Governo autonomo della magistratura è un presidio imprescindibile di garanzia dell'assetto costituzionale della magistratura, come la stessa Costituzione impone. L'attuazione delle astratte previsioni costituzionali impone che il Consiglio Superiore della Magistratura eserciti le proprie prerogative avendo come stella polare la tutela dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, valori che vengono in rilievo in ogni aspetto dell'attività del C.S.M. e che possono essere adeguatamente attuati e tutelati solo ove l'agire del C.S.M. sia improntato al principio della democrazia partecipativa.

Rapporti A.N.M./C.S.M./CORRENTI

Il prossimo Consiglio Superiore deve consolidare la propria credibilità come organo "autonomo" di autogoverno, operando con trasparenza, al fine di dissipare ogni dubbio in ordine al fatto che l'agire dei propri componenti e le decisioni assunte possano essere dettate da logiche correntizie o da indebiti rapporti con l'A.N.M. (Associazione Nazionale Magistrati).
È da molti condivisa l'opinione che le correnti si siano trasformate in una sorta di apparati di potere che "gestiscono" le carriere dei colleghi in maniera autoreferenziale, svincolata spesso da quei valori culturali che 50 anni orsono hanno dato vita alle associazioni di magistrati e che ora sembrano aver ceduto il passo a dinamiche avulse dal "comune sentire" in cui ciascuna corrente dovrebbe riconoscersi.
Le aggregazioni ideali sono, difatti, essenziali alla vita democratica, anche nella comunità dei magistrati. Proprio per questo, non devono trasformarsi in monolitico pensiero unico, che sanziona il dissenso ed il contraddittorio.
Sono queste le logiche dalle quali il nuovo Consiglio dovrà distaccarsi, dimostrando che il "comune sentire" può essere la guida per l'operato di ciascun consigliere, senza mai trasformarsi in logica di schieramento o di appartenenza.
Con la stessa forza, in Consiglio, ciascun consigliere, dovrà dimostrare l'assoluta estraneità all'altrettanto nefasta logica del collateralismo o, peggio, alla permeabilità ad indebite pressioni esterne.
L'esperienza dello scorso quadriennio molto ci ha insegnato, molto ci ha mostrato, in positivo ed in negativo. Sulla base di quanto di positivo costruito, dovrà essere costruito dalle fondamenta il nuovo Consiglio Superiore.
In questa prospettiva, ben distinte dovranno essere tenute le funzioni dell'A.N.M. e quelle del C.S.M..
Un quadriennio in cui l'Associazione quasi mai ha assunto una posizione netta e chiara, in cui il Consiglio troppo spesso ha dovuto supplire alle carenze dell'A.N.M. (penso al problema della "desertificazione" delle Procure) o troppo spesso si è schiacciato sulle posizioni da quest'ultima espresse (penso al caso della c.d. guerra tra Procure).
Solo su queste basi ciascuno di noi potrà rivolgersi ai giovani magistrati, il cui senso di sfiducia nei valori fondanti la magistratura ed il suo ruolo cresce esponenzialmente. Se ne potrebbe attribuire la causa alla costante delegittimazione proveniente dall'esterno. Ma non è una giustificazione sufficiente. Ciascuno di noi deve costituire l'esempio per restituire ai giovani in primo luogo ed ai colleghi tutti la fiducia, il fortissimo stimolo ideale che animava la magistratura fino a qualche anno fa. Si sente dire in giro che i giovani hanno paura di andare a lavorare nelle sedi disagiate. Nel '92, il sacrificio di Falcone e Borsellino ha scatenato una gara per andare a lavorare in Sicilia. Essere magistrati era un onore, ora è un lavoro come un altro. È necessario un rinascimento culturale, fondato sul quell'imprescindibile presupposto di ogni democrazia che è la partecipazione, il coinvolgimento di tutti i colleghi alla amministrazione del C.S.M..
Non deve più essere un Consiglio in cui le decisioni sono rimesse a pochi oligarchi e sono poi clientelarmente comunicate agli interessati.
Il circuito virtuoso deve essere costruito sugli input che provengono dalla base, che non deve più prendere atto di decisioni spesso incomprensibili ma deve partecipare attivamente e responsabilmente alle politiche di gestione del sistema giustizia ed alla loro traduzione in delibere.
È su questo che si fonda il mio programma.

Pratiche a tutela e procedure di trasferimento d'ufficio

In punto di pratiche a tutela, il prossimo Consiglio dovrà necessariamente volgere il proprio operato ad una applicazione rigorosa ma efficace dell'istituto. Se l'organo di governo autonomo è il presidio ultimo di garanzia dell'indipendenza interna ed esterna dei magistrati, è allora necessario che lo stesso sia in grado di intervenire puntualmente in tutte quelle situazioni in cui siano lese l'indipendenza ed il prestigio della magistratura e dei singoli colleghi oggetto di aggressione. Se il Consiglio non intervenisse in maniera puntuale, perderebbe - almeno in parte - la propria ragion d'essere, lasciando sul campo solo il vulnus per l'operato della magistratura tutta.
D'altra parte, nell'ultimo quindicennio si è assistito ad una progressiva compressione della possibilità per i magistrati di esprimere opinioni sui procedimenti, neppure su quelli già decisi, con la conseguenza che dei medesimi discutono pubblicamente tutti (parti, testimoni, etc.) salvo che gli attori istituzionali del processo.
Se pure il Consiglio fosse ridotto al silenzio, la magistratura e per essa il singolo di magistrato di volta in volta coinvolto non potrebbe neppure replicare a critiche in ipotesi infondate e non veritiere.
Sarà sicuramente uno dei campi di battaglia del prossimo Consiglio, atteso che molto forti sono state, nell'ultimo periodo, le spinte per restringere sempre più i margini per l'intervento consiliare.
Laddove, invece, si è registrata una forzatura nell'uso della procedura para-disciplinare (i cui margini operativi, giova ribadirlo, sono stati estremamente ridotti dalla riforma dell'ordinamento giudiziario) per intervenire con "accertamenti preventivi" su episodi clamorosi (penso alla vicenda Salerno-Catanzaro), accertamenti effettuati senza alcuna garanzia difensiva per gli interessati ma riversati integralmente nel giudizio disciplinare.
Proprio queste strumentalizzazioni il prossimo Consiglio dovrà necessariamente evitare, a pena di trasformarsi nell'organo che non tutela da attacchi esterni ma che interviene per esercitare poteri "paraispettivi" che non gli competono.

Politiche della mobilità

La mobilità dei magistrati è tema che coinvolge direttamente tutti i colleghi, sia sotto il profilo lavorativo sia, soprattutto, sotto il profilo delle scelte di vita di ciascuno, perché è evidente che l'una o l'altra sede di lavoro incidono pesantemente sulla vita familiare e di relazione di ciascuno.
La mobilità, però, non può e non deve risolversi nella mera pubblicazione dei posti vacanti.
Volgendo lo sguardo al quadriennio in scadenza, è indubbio che la riscrittura delle regole concorsuali ha accresciuto indiscutibilmente l'efficacia, la celerità e la trasparenza del sistema.
Ma è altrettanto indiscutibile che è necessario continuare il percorso virtuoso degli ultimi anni per ottenere una gestione realmente efficace delle procedure concorsuali.
È di lapalissiana evidenza la drammatica situazione delle scoperture negli uffici giudiziari, giudicanti e requirenti.
Le cause sono da rinvenirsi nella mancata indizione di concorsi per l'accesso in magistratura per ben tre anni (dal 2004 al 2007 non ci sono stati d.m. di nomina), che hanno determinato il blocco del ricambio fisiologico del personale di magistratura. A ciò devono aggiungersi la crisi della funzione giudiziaria: la spinta a lavorare negli uffici di Procura e nelle sedi disagiate è estremamente ridotta; la tendenza dei colleghi a "fuggire" dagli uffici più piccoli a favore delle grandi sedi (ma di questo parlerò successivamente); i limiti territoriali al passaggio di funzioni, che cristallizzano gli organici nell'una o nell'altra funzione, precludendo la possibilità di innovare il proprio percorso professionale se non a costo di gravosi spostamenti a sedi troppo distanti rispetto ai propri centri di interesse.
Le soluzioni sono rinvenibili in una politica della mobilità strictu sensu intesa. Il Consiglio,cioè, deve farsi carico di pianificare le esigenze della mobilità in maniera organica e secondo una prospettiva di lungo periodo, eventualmente quadriennale, così da riuscire a contemperare le esigenze di mobilità dei colleghi e le esigenze di copertura degli uffici giudiziari.
Per i trasferimenti ordinari, cioè, è necessario programmare ex ante (i tempi certi e rapidi delle procedure ben lo consentono) il periodo di pubblicazione dei bandi, le sedi che saranno messe a concorso, le sedi che possono essere destinate ai MOT, le sedi disagiate.
Per bilanciare le esigenze di minima funzionalità degli uffici con quelle dei magistrati che ambiscono a raggiungere altre sedi occorre dare certezza in ordine ai tempi dei bandi. E'questo è oggi possibile essendo ripresa l'ordinaria cadenza annuale dei concorsi per l'accesso in magistratura.
Una assunzione di responsabilità da parte di ciascuno, bilanciata in ipotesi da incentivi in termini di punteggi per l'attesa forzata, può rappresentare uno degli estremi baluardi contro i prefigurati e sempre più vicini rischi di trasferimenti d'ufficio in massa, indi di reclutamento straordinario e separazione delle carriere.

Fuori ruolo

Al tema della mobilità si salda inscindibilmente quello dei c.d. fuori ruolo, da molti visti come privilegiati, da tanti come una indebita sottrazione di risorse al lavoro giudiziario.
Occorre, invero, rilevare che taluni incarichi fuori ruolo possono in concreto concorrere ad impedire che l'isolamento nel quale la magistratura è precipitata divenga completo, sicchè è forse possibile limitarli ancor di più di quanto la legge preveda, ma sarebbe populistico affermare che vanno aboliti.
Come sarebbe utopistico affermare che dovrebbe essere effettuata una procedura concorsuale, sempre e comunque, per l'individuazione di chi debba andare fuori ruolo.
Invero, in medio stat virtus: taluni incarichi, quelli apicali, per la natura fiduciaria che li contraddistingue, non possono che essere rimessi alla scelta discrezionale dell'autorità politica che chiede il collocamento f.r.
Per altri, al contrario, ove prevalgono i profili di merito ed attitudinali( e sono la gran parte degli incarichi) può estendersi la procedura dell'interpello, con conseguente valutazione comparativa, o quella prevista per l'individuazione del membro nazionale di Eurojust o dei c.d. magistrati di collegamento, in cui viene individuata dal CSM una rosa di nomi all'interno della quale l'ente conferente effettua la propria scelta.
Per tutti, in ogni caso, occorre valutare l'utilità per l'amministrazione della giustizia dell'incarico che dovrebbe svolgere il magistrato da collocare fuori ruolo.

Incarichi extragiudiziari

Lo stesso discorso può valere per gli incarichi extragiudiziari. Non è certo possibile pensare di bypassare la natura fiduciaria di taluni incarichi. Come, al contrario, non è impossibile individuare, in astratto o in concreto, altri incarichi cui applicare procedure paraconcorsuali, così da allargare la platea dei magistrati cui viene offerta la possibilità di arricchire la propria esperienza professionale in ambiti extragiudiziari e la possibilità di dimostrare le proprie capacità pur in assenza di legami talvolta lobbystici con determinati enti.
Una riscrittura in questo senso della circolare che disciplina la materia mi sembra il percorso obbligato.
Come altrettanto obbligata è la modulazione dei limiti orari agli incarichi (il Consiglio di Stato ce lo impone), a condizione che la procedura di autorizzazione si fondi sul concreto bilanciamento fra impegno richiesto e carichi di lavoro nell'ufficio.
Autorizzazione che ritengo imprescindibile, atteso che la tutela della libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di attività scientifica deve essere bilanciata con la tutela dell'indipendenza esterna del magistrato, essendo a mio giudizio necessario valutare l'incidenza dei compensi (spesso ingenti) e dei rapporti con i soggetti o gli enti conferenti sul lavoro del magistrato.


Valutazioni di professionalità

In materia, il nuovo Consiglio deve sviluppare la solida base normativa primaria e secondaria costruita nel precedente quadriennio, con due obiettivi fondamentali.
Il primo: deve essere necessariamente razionalizzata la disciplina dei pareri. I Consigli giudiziari sono chiamati a formulare una quantità insostenibile di pareri, per le valutazioni di professionalità, per i mutamenti di funzioni, per le attitudini specifiche ai fini degli uffici direttivi.
Il risultato del sovraccarico è sotto gli occhi di tutti: il rischio che il parere non sia realmente espressivo del reale profilo professionale del magistrato interessato. Con due conseguente: per un verso, il sempre forte rischio di omologazione dei colleghi su schemi prestabiliti, che non offrono una reale base valutativa del valore degli stessi. Per altro verso, l'impossibilità di un reale controllo, per quanto specificamente attiene alle valutazioni di professionalità, sulla vita professionale dei colleghi, con le conseguenze evidenti ai più: il "solito" sospetto di degenerazione correntizia.
Non è accettabile, difatti, leggere pareri identici, le cui formule verbali sono tanto simili da ingenerare il sospetto che i pareri stessi sono assolutamente disancorati dalla realtà; né tantomeno è positivo per i colleghi che le delibere sulle valutazioni di professionalità si risolvano in una congerie di formule di stile che nulla rivelano del magistrato.
Solo una sinergia fra autogoverno locale e centrale, volto ad un reale controllo della vita professionale dei colleghi può portare ad un effettivo giudizio sulla professionalità e, conseguentemente, all'intervento su quei casi disfunzionali che in nulla aiutano una positiva visione dell'intera categoria.
Il secondo: deve essere portato a conclusione il lavoro sugli standard medi di rendimento, prestando una costante attenzione a non ridurre il lavoro - pesante e faticoso - dei colleghi a freddi schemi statistici, che non possono in alcun modo tenere conto delle diverse condizioni di lavoro in ciascun ufficio ed in ciascun bacino di utenza, che non possono porre in risalto quell'insieme di attività che non si traduce in provvedimenti da contabilizzare ma che sono una componente essenziale di molti dei mestieri del giudice.
Neppure pare a me auspicabile l'introduzione di carichi esigibili espressi in numeri secchi e netti, al superamento dei quali diverrebbe lecito ridurre o contrarre i ritmi di lavoro. Il sistema giustizia, in tal caso, imploderebbe. E, per di più, sarebbero penalizzati quei magistrati che per le ragioni più varie (complessità dei processi introitati, esiguità di affari seriali rispetto ad un precedente periodo, ecc.) in un determinato periodo non riuscissero ad attestarsi su una soglia in passato raggiunta.
Gli automatismi non aiutano, in una attività complessa ed intellettualmente nobile ed articolata quale quella del magistrato. Al contrario, è necessaria una analisi approfondita, aperta alla partecipazione di tutti i colleghi (perché ogni ruolo ha le proprie peculiarità), e non affidata alla mera statistica, per individuare, per ciascun ufficio giudiziario, i flussi di lavoro ed intervenire - attraverso i progetti organizzativi e le best practises - per introdurre soluzioni organizzative idonee a migliorare la gestione dei carichi gravanti su un ufficio.
Solo coinvolgendo realmente tutti i protagonisti, magistrati, dirigenti, personale amministrativo, organi dell'autogoverno (penso alle Commissioni flussi) è possibile pervenire ad una gestione condivisa degli uffici ed all'individuazione di quei livelli di professionalità che consentano poi, ex post, di valutare i colleghi.

Direttivi e semidirettivi

Il sistema di selezione dei colleghi chiamati a uffici direttivi e semidirettivi deve essere profondamente innovato, per ridurre la discrezionalità nelle nomine.
Sintomatico di tale degenerazione del sistema è l'esponenziale numero di annullamenti delle delibere da parte del giudice amministrativo. Numero che non si giustifica di certo nell'incremento delle delibere per effetto della temporaneità degli incarichi. Gli annullamenti, difatti, sono tendenzialmente fondati sullo scorretto esercizio del potere discrezionale del Consiglio superiore.
Per garantire criteri certi, che escludano in radice i rischi di logiche correntizie nell'assunzione delle decisioni, è necessario ripensare i criteri per il conferimento degli uffici. Una possibile ipotesi di lavoro potrebbe essere la traduzione dei c.d. indicatori dell'attitudine direttiva in parametri definiti ex ante per valutare caso per caso la storia professionale di ciascun aspirante, sia ad incarichi direttivi che semidirettivi. Da qui deve partire il percorso per ottenere il non più procrastinabile obiettivo di mandare il magistrato migliore per ricoprire un determinato incarico, finalmente superando logiche di appartenenza e schieramenti precostituiti ex ante, e consentendo, soprattutto, agli uffici giudiziari di avere dirigenti realmente meritevoli e preparati allo svolgimento di funzioni che coinvolgono tutti i colleghi in servizio in un ufficio e l'intera utenza.


Organizzazione degli uffici giudicanti

Il tema dell'organizzazione degli uffici giudicanti e requirenti è probabilmente uno dei più delicati, atteso che coinvolge per un verso la funzionale gestione di un ufficio e la vita professionale di molti colleghi (lavorare in una sezione distaccata, per un aspetto, o nel luogo di residenza, sotto altro aspetto, può avere una notevole rilevanza, come molti sanno bene) e per altro verso i principi costituzionali di naturalità del giudice e di obbligatorietà dell'azione penale.
Sotto il primo profilo, l'intervento del Consiglio deve essere mirato a valutare approfonditamente le scelte organizzative al fine di garantire che i progetti ed i provvedimenti, frutto di una gestione effettivamente partecipata di tutti gli interessati, siano realmente rispondenti alle esigenze di una efficace amministrazione delle risorse.
Sotto il secondo profilo, è necessario sviluppare i meccanismi di controllo sui provvedimenti di assegnazione di un procedimento ad un determinato magistrato. La storia recente ci narra di provvedimenti di assegnazione di processi in violazione delle regole tabellari predeterminate, in palese violazione del principio del giudice naturale (sintomatici i casi, di qualche anno fa, di creazione di un collegio del riesame ad hoc o di autoassegnazione in capo al dirigente dell'ufficio per procedimenti particolarmente delicati). Violazione che potrebbe ingenerare il sospetto di strumentalizzazioni che minano in radice l'indipendenza interna ed esterna del giudice. Violazione che deve essere oggetto di approfondito esame da parte dell'organo di governo autonomo, specie ove si consideri che nessuna nullità processualmente rilevante è ex lege configurabile.
Per gli uffici requirenti, deve essere portato a compimento il percorso volto ad individuare nel CSM l'organo di controllo sull'esercizio dei poteri discrezionali da parte del dirigente l'ufficio, in ambiti sensibili quali la materia di assegnazione e revoca dei procedimenti, introducendo una disciplina generale che, recependo le migliori prassi organizzative, sia un modello sul quale confrontare l'operato dei singoli. In tal modo andrà salvaguardato e rafforzato il potere di intervento del CSM in tutte quelle situazioni limite in cui possa configurarsi il sospetto di una lesione dei principi costituzionali che regolano la funzione requirente. Ciò consentirà anche una tutela piena dell'autonomia dei sostituti, evitando i più perniciosi effetti di una eccessiva gerarchizzazione delle Procure sul piano della indipendenza interna dei magistrati.
Su un piano più generale, molti sottolineano la necessità di intervenire nella prospettiva della revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Non può disconoscersi che se per un verso è evidente che i carichi di lavoro ora gravanti sui singoli tribunali sarebbero in tal caso solo diversamente distribuiti, confluendo tutti sull'ufficio di maggiori dimensioni, per altro verso, è altrettanto evidente che i colleghi avvertono il disagio di lavorare in uffici di piccole dimensioni, sottoposti a carichi di lavoro, turni, ed adempimenti che in uffici di maggiori dimensioni sono indiscutibilmente distribuiti su un maggior numero di colleghi.
Non potendosi promettere il fatto altrui (specie in settori nei quali è noto che il legislatore non intende intervenire), occorre perseguire tale obiettivo con gli strumenti disponibili e, soprattutto, tenere conto da parte del consiglio, in sede di valutazione della professionalità dei magistrati, di tali differenti situazioni.

Formazione

La formazione della magistratura è tema di assoluta centralità, per le implicazioni che reca. Deve essere proseguito il percorso virtuoso di formazione continua e deve essere sviluppato un sistema di formazione per i colleghi già in servizio e per i MOT che contribuisca a rinsaldare la cultura della giurisdizione.
Ed ancora, deve essere effettuato un rigoroso controllo sulla scelta dei relatori, individuando criteri predefiniti che valorizzino meriti ed esperienze di ciascuno, rendendo recessive scelte dettate da mere logiche di appartenenza.

Disciplinare

Il sistema disciplinare dei magistrati è tema complesso sul quale intervenire. Chi aspira a divenire Consigliere ha la possibilità di divenire componente della Sezione disciplinare. Ed allora, diviene difficile esprimere giudizi sull'operato della precedente consiliatura o sull'assetto normativo evitando il rischio di incorrere in un pregiudizio.
A livello "politico", è indiscutibilmente necessario che il procedimento disciplinare non si trasformi nello strumento per sanzionare "illeciti d'autore", "illeciti di opinione" né che diventi strumento di intimidazione o pressione in mano ai titolari dell'azione disciplinare.
E' altresì necessario, poi, che esso non si trasformi in un meccanismo dedito, anziché ad individuare e sanzionare le vere, grandi patologie deontologiche e gli autori di comportamenti gravemente lesivi dell'imparzialità e dell'indipendenza del magistrato, a colpire quelle (presunte) assenze di diligenza in realtà determinate da generosi tentativi di arginare insostenibili carichi di lavoro.
Infine è imprescindibile che la funzione sia esercitata in modo da non interferire con l'esercizio della giurisdizione e tenendo presente che invalicabile è il limite costituito dall'insindacabilità delle opzioni interpretative della legge da parte del magistrato, salvi i rigorosi casi eccezionali contemplati dalla legge.
Così come è auspicabile che l'organo disciplinare resti nel circuito dell'autogoverno: un autogoverno, però, in cui le decisioni siano prese in scienza e coscienza e non per logica di appartenenza. Questa è e sarà la garanzia migliore per fugare ogni sospetto che l'inclusione della Sezione disciplinare nell'ambito del Consiglio superiore possa portare al privilegio della protezione di casta per gli incolpati o, per altro verso, alla punizione del dissenso.

Milena Balsamo

Comincia il viaggio: l'autogoverno che vorrei



Credo che sia importante, quando si chiede il sostegno ed il consenso di un corpo elettorale, rivelare le ragioni della scelta e le linee programmatiche cui ci si atterrà in caso di elezione.
Si, in caso di vittoria, perché la mia non è né una candidatura di bandiera, come a volte ipocritamente si afferma, né una candidatura "per spirito di servizio", visto che non è compiuta sotto l'egida di alcun gruppo, per le ragioni che illustrerò.

Le ragioni della scelta

Vi sono delle ragioni di fondo e delle ragioni immediate.
Quante a queste ultime, la presentazione delle candidature dei colleghi Carlo Fucci, e Paolo Corder ha indotto i vertici di una corrente (UPC) a definire quelle non sostenute dal gruppo come candidature anti statutarie, altri (Area) a ritenere che "il candidato indipendente, privo di vincoli di principio( o forse da intendersi di mandato? : ndr), non obbligato alla coerenza, al rispetto di una linea di condotta, è particolarmente esposto alla logica della tutela dell'amico".
Al contrario penso che le candidature indipendenti e per quel che mi riguarda, la mia, siano il frutto della naturale evoluzione di un percorso associativo ed ideologico di chi avverte l'appartenenza a valori ed idealità diffuse, comuni non tanto agli apparati burocratici, verticistici e centralisti delle correnti, che in tutto assomigliano sempre più agli attuali partiti politici, quanto alle aree culturali che esse hanno in passato rappresentato e che ora invece stentano a esprimere, non riuscendo ad aprirsi al confronto, al dialogo ed alla partecipazione di tutti alla vita associativa.
Eppure è da questo intenso confronto che è nata, a mio avviso, l'idea di un nuovo modello di autogoverno che rappresenti davvero il luogo dove siano garantite l'indipendenza e l'autonomia della Magistratura.
La stessa esigenza di autoriforma più che esser nata all'interno degli organismi direttivi dell'ANM, che neppure sono stati in grado di realizzare la selezione dei candidati attraverso le cd. "primarie", è nata tra i colleghi che hanno constatato, spesso sulla loro pelle, la delicatezza del nuovo ruolo del CSM, così delineatosi dopo la riforma cd. Mastella, che ha visto trasformare le scelte di tipo tecnico-amministrativo in scelte discrezionali prive di parametri di riferimento, quelle si non obbligate alla coerenza né al rispetto di una linea di condotta.
Le reazioni di coloro che difendono l'esistente mi danno la conferma della giustezza delle ragioni della mia scelta, poiché è evidente che le candidature "indipendenti" segnano per questi ultimi una incrinatura dell'attuale sistema che vede l'organo di autogoverno in balia delle correnti.
Resta ferma che chi si candida, anche senza il sostegno del suo gruppo, deve rispondere ai principi ideali che lo ispirano ed al programma politico che presenta.
Per inciso a chi scrive che i candidati indipendenti potrebbero agire secondo insondabili criteri di giudizio non raffrontabili con canoni, principi, valori generali, visione del ruolo, concezione dell'universo giudiziario, è facile replicare che ciò è quel che invece hanno troppo spesso fatto i componenti del CSM designati dalle correnti.
Questo basta a legittimare le candidature di chi - come me - sente la necessità di salvaguardare l'indipendenza della Magistratura non solo dall'esterno, quanto da quelle forze, da quelle coalizioni di poteri interni alla stessa Magistratura.
Questo quanto alle ragioni contingenti.
Vi sono anche però delle ragioni profonde e radicate che mi hanno indotto a candidarmi.
La mia candidatura vuole essere la risposta ad un sistema di potere bloccato ed antidemocratico, che sta lentamente privando la magistratura intera di quella spinta ideale che ci ha guidato negli anni passati, a favore di logiche di schieramento, di appartenenza e di burocratizzazione della professione. La mia candidatura vuole, cioè, offrire un'alternativa a coloro che si propongono di porre le basi per un rinascimento culturale dell'essere magistrati oggi, iniziando dal luogo ove le scelte - pesanti e serie per la vita di ciascuno di noi - vengono compiute: il CSM.

Questo vi propongo

I magistrati italiani eleggono i loro "governanti" sulla base di una legge che non consente loro alcuna scelta.
Se non vi fossero, questa volta, candidature indipendenti, potremmo dichiarare la partita della democrazia persa a tavolino.
Le elezioni sarebbero solo un gioco di specchi, il male necessario che resta in piedi sol perché la Costituzione lo impone. Gli elettori, sarebbero inconsapevoli notai che ratificano scelte alle quali restano tendenzialmente estranei.
Ogni corrente, infatti, designa solo il numero di candidati che, in base ai risultati delle precedenti elezioni ed al trend elettorale presunto, ritiene di poter fare eleggere.
Questa volta, nel collegio giudicante, i gruppi di MD e MOV presentano un numero di candidati pari agli eletti nell'attuale consiglio (4 in totale), nonostante nell'ultima elezione avessero perso un rappresentante rispetto a quelle del 2002 (consolidano, dunque, pur di non rischiare la sconfitta).
Unicost, analogamente, presenta un numero di candidati pari agli attuali consiglieri (quattro).
Non fosse che M.I. tenta la sorte presentando "ben" 1 esponente in più (3 anziché gli attuali 2 consiglieri), le correnti avrebbero presentato un numero di candidati pari agli eleggibili: 10.
Nel qual caso, come detto, sarebbero stati sufficienti i voti "a ratifica" dei singoli candidati.
Si potrebbe obiettare che i candidati sono stati scelti dalle rispettive correnti, talvolta anche con lo strumento delle primarie.
Vero. Ma come hanno inciso sulla scelta coloro che non fanno parte delle correnti? Risposta: in alcun modo.
Ed anche coloro che ne fanno parte, hanno davvero inciso?
Non temo smentite se rispondo negativamente.
Ben posso capire il senso di frustrazione di quei colleghi di Area che hanno votato alle primarie un candidato "superato" in sede di designazione da altro meno votato per la mera ventura di appartenere all'una o all'altra componente dell'Area stessa.
Lunga sarebbe l'analisi (che farò in altra sede) ma lapidaria la conclusione: si tratta di scelte verticistiche, determinate da pochissime persone.
Avvilente, se si pensa che su un corpo elettorale di circa 8500 magistrati quelli iscritti alle correnti sono una percentuale piuttosto esigua.
Abbiamo un sistema elettorale che, al pari delle legge elettorale per il Parlamento, produce il risultato, grazie alle modalità in cui la legge elettorale è stata applicata dalle correnti, di un (auto)governo composto da nominati e non da eletti, i quali, conseguentemente, rispondono non già agli elettori ma esclusivamente ai capi corrente, saldando un patto nefasto che determina lo svuotamento delle idealità (se manca il confronto elettorale, manca anche una base ideale da proporre agli elettori e sulla quale impegnarsi) e la preponderanza di logiche di schieramento (gli eletti finiscono per rispondere direttamente ed esclusivamente alle correnti, mancando la pur minima forma di competizione elettorale).
Anche qui mi si potrebbe obiettare che questo è il sistema che la politica ha pensato per la magistratura e non ha mutato, anche se forti erano i boatos in tal senso(boatos, peraltro, ripresi anche oggi).
Vero. Altrettanto lo è, però, la circostanza che appena la politica ha prospettato serie ipotesi di riforma del sistema elettorale del CSM, prorogando per breve tempo quello in carica, immediata è stata la levata di scudi dei vertici di vari gruppi.
Quale miglior riprova che questo sistema va bene agli apparati correntizi? E che magari questi stessi hanno esercitato - con successo - tutte le pressioni possibili per non mutare l'immutabile?
Un sistema elettorale nel quale esser designati da un gruppo, per il perverso sistema suddetto, equivale sostanzialmente ad essere eletti, rende asfittica la democrazia interna a ciascun gruppo.
Faccio parte di Unicost, nei cui valori ideali in ordine al modello di magistrato e nei cui metodi storici volti a garantire il pluralismo interno mi riconosco.
E rivendico la mia storia, perché l'esperienza di questi ultimi anni ci ha insegnato che proprio il pluralismo interno che fino a poco tempo fa ci ha caratterizzato ha consentito la crescita di un modello di magistrato che ha come stella polare l'indipendenza interna ed esterna, la tutela dei principi costituzionali e la libertà da ogni forma di schematismo e condizionamento.
Non ho, però, inteso richiedere il sostegno del gruppo alla mia candidatura.
La motivazione? Sarebbe stato del tutto inutile, non già perché i colleghi che la corrente appoggia esprimono idee più condivise delle mie, ma solo perché i pur ottimi candidati tali sono da anni, per indicazione dei vertici ai quali molti colleghi di base non si oppongono, ritenendo inconcepibile la sola idea di poterlo fare, salvo poche coraggiose eccezioni, tra le quali quelle di chi, come me, ha deciso di sottoporsi al giudizio degli elettori.
In conclusione, la stragrande maggioranza dei magistrati che non si riconosce in una corrente, non ha alcuna reale possibilità di scegliere i propri governanti; coloro che militano in una corrente, non hanno alcuna concreta possibilità di incidere sulle scelte dei vertici; i nominati, una volta divenuti consiglieri, non potranno che rispondere ai capi delle rispettive correnti. Da qualunque lato si guardi la questione, emerge un solo dato: uno spaventoso deficit di democrazia e di indipendenza interne, considerati gli amplissimi poteri che il CSM ha di determinare la vita professionale di ciascun magistrato.
Basti pensare al conferimento di incarichi direttivi o semidirettivi, in cui amplissima, e sconfinante nell'arbitrio, è la discrezionalità, o, ancora, al sistema disciplinare ormai utilizzato per colpire anche solo l'espressione di una critica su una lista di magistrati.
In sostanza, con la mia candidatura intendo ampliare e rendere effettiva la possibilità di scelta dei colleghi, fermo restando che intendo utilizzare il consenso che raccoglierò per richiedere, con il sostegno di tutti, la modifica della legge elettorale oggi vigente od, in alternativa (essendo buona abitudine non promettere cose che dipendono da altri), per realizzare la prossima volta delle vere primarie, aperte a tutti i magistrati e senza posti riservati a questo o quel gruppo.
Intendo, altresì, denunciare i difetti di un sistema stantio, vecchio, antistorico e dare voce ed opportunità ad un dissenso che sento ampio, seppur sotterraneo, da altri da tempo e con argomenti migliori dei miei rivelato.
Non discuto minimamente l'importanza ed il significato, anche attuale, delle diverse aree culturali (nei valori di una di esse - taluni dei quali, del resto, comuni ad altre - mi riconosco, come detto).
Spero, solo, di frenarne la deriva autoreferenziale ed autoritaria, da veicolo di idee a strumento di potere, affinché l'organo di governo autonomo possa essere una delle "case comuni" in cui tutti i magistrati, pur nella fisiologica e salutare contrapposizione di idealità, possano tornare con orgoglio a riconoscersi.
Se, dunque, l'associazione non è in grado di propugnare ed attuare la tanto sbandierata autoriforma, se le correnti non hanno alcun interesse a lasciare che siano i magistrati a scegliere il modello di autogoverno ed indi i candidati, allora è giunto il momento in cui ognuno di noi è tenuto a scegliere.
Scegliere, in definitiva, se perdere l'indipendenza anche interna che connota costituzionalmente il potere giudiziario o riprendere le fila del nostro destino.
Io credo che, sia le voci di critica al sistema attuale, che le candidature non sostenute dalle correnti - candidature che, in quanto conformi alle previsioni legislative, non potrebbero mai essere contrarie allo statuto di un gruppo, altrimenti dovrebbe ipotizzarsi che questo sia stato realizzato in difformità alla legge - rappresentano gli unici strumenti che ha la Magistratura per riappropriarsi dell'associazionismo e di un concreto effettivo autogoverno.
Ed è forse proprio l'urgenza di contribuire ad avviare un reale e concreto processo di autoriforma della Magistratura - che avverto forte dentro di me - che mi ha indotto a raccogliere le sottoscrizioni alla mia candidatura non solo nel distretto in cui presto servizio (quello di Firenze), ma anche in Campania, ed in particolare, simbolicamente, in quello di Salerno, dove la dolorosa vicenda rappresentata dagli sviluppi seguiti a quello che è ormai noto come lo "scontro tra Procure" ha generato in molti ed in me, tra questi, la consapevolezza che l'autogoverno stesse mutando e probabilmente la stessa indipendenza dei magistrati non fosse più garantita.

Milena Balsamo